giovedì 2 agosto 2012

2MM - In realtà - RItorno a casa

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RITORNO A CASA


Erano passati dieci anni dall'ultima volta che era stato in Italia, la sua terra d'origine. Il suo lavoro di giornalista lo aveva portato in giro per il mondo, aveva assistito alla nascita di regimi e alla caduta degli stessi, guerre fra nazioni, clan o famiglie. Lotte di popoli oppressi e feriti dai loro governanti.
I suoi articoli erano richiesti dalle più grandi testate mondiali, perché Stefano Cardini era sempre al posto giusto nel momento giusto. Anche in quel lontano giorno del 1973 era nel posto in cui si sarebbe fatta la storia, la centrale di Teleforce che Salazar aveva costruito alla periferia di Osaka.
Si trovava in Giappone in vacanza, ma la notizia dell'attivazione della centrale non poteva essere ignorata, quindi si fece accreditare l'ingresso da un suo amico ai piani alti della Asahi Corporation, uno dei grossi network televisivi di Tokyo. Come sempre era al posto giusto al momento giusto, ma avrebbe voluto perdere il treno che lo portò fin lì.
Dopo trent'anni passati a fuggire si era stancato. Voleva tornare a casa, incontrare le persone a lui care. Ormai era da diversi mesi che nessuno ai piani alti del potere cercava di contattarlo.


«Ehi, il parco sta chiudendo!» La voce arrivava dal sentiero lungo il lago artificiale. Un poliziotto. Parlò nella ricetrasmittente posta sulla spalla sinistra, riferiva al suo collega all'ingresso del parco che c'era un altro perdigiorno, poi si diresse verso di lui. Perso nei suoi ricordi, Stefano non si era reso conto dell'orario.
«Ancora cinque minuti agente, poi me ne vado a casa.»
«Forza, si diriga all'uscita.»
«Ancora cinque minuti e tolgo il disturbo.» Il sole era quasi tramontato e le luci dei lampioni iniziavano a fare il loro dovere.
«Forza, odio che non mi si ascolti. Venga con me, l'accompagno all'ingresso.» Tese il braccio per prendere Stefano per la spalla destra, ma questi si alzò di scatto, allontanandosi di un paio di metri.
«Le ho chiesto solo cinque minuti. Non mi sembra di aver fatto una richiesta impossibile. Voglio solo starmene un po' in pace.»
«Per carità, magari gradirebbe anche una birra e qualche stuzzichino. Il parco deve essere chiuso alle sette e mezza, ovvero tre minuti fa. Quindi ora si muova ed esca.»
«Sa una cosa, da piccolo venivo spesso in questo parco a giocare. C'era un gioco che facevamo, non so come si chiamasse o se avesse un nome...»
«O Cristo, ma tutti a me devono capitare gli sbandati.»
« In questo gioco vinceva chi riusciva a calpestare per primo l'ombra dell'avversario. Io ero un campione, c'erano solo un paio di ragazzi che riuscivano a mettermi in difficoltà, ma alla fine ero sempre io a vincere. »
«Basta, zitto e girati! Mani dietro la schiena! Ehi Ale,» l'agente parlò nella ricetrasmittente, «il perdigiorno viene a farsi un giro nella nostra macchina.»
«Ricevuto, chiudo qui e vengo a prendervi all'ingresso sud» fu la risposta del collega.
«Nel momento in cui schiacci l'ombra,» continuò incurante Stefano, «la persona colpita deve bloccarsi sul posto nella posizione in cui si trova.»
«OK. Bel giochetto» disse il poliziotto. «Muoviti, abbiamo un appuntamento.» Estrasse le manette tenendo costantemente sottocchio Stefano, che si mise a camminare, con passi lenti e brevi, per poi accelerare, fare un salto e ricadere sull'ombra dell'agente.
«Le avevo chiesto solo cinque minuti, ma a quanto pare la gentilezza non fa parte del suo corredo genetico. Bene, me ne torno a casa, lei invece resterà qui finché il suo collega non verrà a cercarla.» Si mise una mano in tasca e ne estrasse qualcosa. «Vediamo quanto impiegherà il suo amico a capire cosa deve fare. Questo trucco l'ho appreso circa trentanni fa, in Giappone» Si chinò, conficcando nel terreno colpito dall'ombra del poliziotto un chiodo. «Ora resterà bloccato fino a che qualcuno non lo toglierà. Ci vediamo.»
Il poliziotto vide Stefano dirigersi verso l'ingresso nord, mentre dalla trasmittente il suo collega cercava di comunicare con lui. Passarono pochi minuti prima che un uomo, vestito con un completo grigio che mal celava la fondina della pistola sotto l'ascella, arrivasse dove l'agente era bloccato nell'atto di mettere le manette a qualcuno.
«Ehi ti sei fatto fregare da quel super?» disse l'uomo in grigio. Diede una pacca sulla spalla al poliziotto e inizio a cercare per terra, appena vide il chiodo lo tirò fuori dal terreno e si portò sotto un vicino lampione per osservarlo meglio.
«Bah, sembra un normale chiodo. Non sento residui di teleforce. Come ha fatto a bloccarti?» disse girandosi verso il poliziotto.
«Chi lo capisce è bravo», l'agente si sedette sulla panchina. « Appena mi ha calpestato l'ombra mi son bloccato, eppure quando mi sono avvicinato davo le spalle al sole, e il suo piede era venuto a contatto con la mia ombra.»
«Quindi non è un potere passivo, deve essere attivato per funzionare.» L'uomo in grigio continuava a fissare il chiodo.
«Dopo di che ti ha infilzato con questo, giusto?»
«Esatto, a quel punto ero completamente inerme, ha conficcato il chiodo nell'ombra e se né andato, come se niente fosse.» Si girò a guardare verso l'uscita nord del parco. «Prima di bloccarmi mi ha raccontato una storia, sulla sua infanzia.»
«Che storia, Gio?»
«Di un gioco, che faceva da bambino, in cui vinceva chi schiacciava per primo l'ombra all'avversario. Cazzate, Ste.»
«Che simpatico, ti ha raccontato come funziona il suo potere. Peccato che questo già la sappiamo.» Si mise il chiodo in tasca. «Andiamo dai, ti offro una birra.»
"E come la mettiamo con quel super?"
"Non preoccuparti." Diede due colpetti alla tasca."Ci ha lasciato un biglietto da visita."

Era atterrato da poche ore e stava soffrendo ancora per il jet-lag, l'unica cosa che voleva fare, oltre a una bella cena al ristornate Da Guido, era di farsi una camminata nel vecchio parco delle cave. Ma un poliziotto troppo solerte aveva bloccato il suo sogno. Sul tragitto per il ristorante continuava a ripensare all'incontro avvenuto poche ore prima. Qualcosa stonava, forse era solo una sua paranoia, ma ultimamente aveva la sensazione di essere sempre inseguito e quel poliziotto lo aveva reso ulteriormente nervoso.
Da quando la teleforce lo aveva reso un super è stato difficile per Stefano tenere un basso profilo. Riusciva bene nel suo lavoro perché nessuno sapeva che faccia avesse, e per un giornalista che operava da solo in zone di guerra l'anonimato faceva comodo. Ora invece volto e nome di Cardini erano finiti più volte sui giornali, come parte delle varie notizie che quotidianamente interessava i 160 super nati per mano di Salazar. In conclusione, era bruciato. Basta indagini su regimi e governi, aveva il passaporto segnalato sulla lista nera di molti paesi e in quelli in cui poteva ancora entrare veniva 'scortato' per tutto il tempo della visita.
Finalmente arrivò al ristorante, parcheggiò l'Audi Q5 presa a noleggio sul retro del locale, dove agli odori provenienti dalla cucina si mischiavano il puzzo di piscio e di immondizia dai vicini cassonetti. Accese una sigaretta, era in anticipo di un quarto d'ora sulla prenotazione. Estrasse il telefono e inizio a scorrere i nomi nella rubrica.
Fece un lungo tiro alla sigaretta, si appoggiò al muro del ristorante e premette il tasto “chiamata”, portandosi poi senza fretta il telefono all'orecchio. Dopo pochi squilli, la voce della segreteria telefonica gli rispose.
«Ciao Marco, sempre io, Ste. Va beh. Sono tornato, fatti sentire. Il numero è sempre lo stesso. Beh. Ciao.»
Chiusa la conversazione diede l'ultimo tiro alla sigaretta, per poi buttarla in una grata. Si avviò all'entrata del ristorante, dando rapide occhiate all'interno della sala attraverso le grosse vetrate che coprivano quasi tutta la parete sud del locale. Per essere sabato sera, il locale era quasi vuoto.
Appena aperta la porta fu accolto dal profumo di carne cotta alla brace e dal vociare dei clienti. Un paio di tavoli con delle coppiette, una tavolata che aveva tutta l'aria di ospitare una cena aziendale e un'altra piena di ragazzini poco più che maggiorenni, che sembrava avessero scambiato il vino per acqua. Sarà che era rimasto molto tempo all'estero, ma se lo ricordava più serio e ricercato quel locale. Passarono un paio di minuti prima che un cameriere si interessasse a lui.
«Buonasera signore, ha una prenotazione?»
«Si a nome Cardini. Se possibile gradirei un tavolo d'angolo.» rispose Stefano.
«Vediamo un po',» il cameriere diede un occhiata al monitor posto vicino alla cassa, «, prego mi segua.»
Prese due menu dal banco e accompagnò Stefano al suo tavolo, dall'altra parte del locale, vicino alla tavolata della cena aziendale.
«Prego, signor Cardini,» disse il cameriere spostando la sedia, «gradisce un aperitivo prima della cena.»
«Si grazie, un Martini. Liscio.»
«Subito.» Si diresse verso il bancone del bar, dove passò l'ordinazione al barista.
Stefano si mise a osservare le persone nella sala, niente di speciale, gente normale che si divertiva e passava una serata spensierata. Per fortuna la gente comune difficilmente lo riconosceva, il suo volto era famoso ai piani alti, nei posti in cui era necessario sapere tutto di tutti. Ma li, in quel paesino del nord Italia, il nome Stefano Cardini era un nome come un altro, e questo gli consentiva cene tranquille, serate al cinema e spese al supermercato sotto casa.
Un cameriere si avvicinò al bar e mise il suo aperitivo su un vassoio, per poi dirigersi da lui.
«Ecco il suo Martini signore,» posò il bicchiere sul tavolo, «spero sia di suo gradimento.»
Stefano allungò la mano per prendere il bicchiere, ma si bloccò di colpo appena vide l'oliva infilzata con un chiodo cromato.
Si girò di scatto, ma il cameriere lo strinse alla gola con una mano spingendolo con forza contro il muro, ribaltando sedie e tavolo, mentre con l'altra mano estrasse una pistola.
Calò il silenzio nella sala, almeno fino a che:
«Ha una pistola!» gridarono quasi in contemporanea alcune persone. Fu il caos, gli avventori si misero a correre verso l'uscita, mentre i camerieri corsero a nascondersi dietro il bancone del bar piuttosto che in cucina.
«Lasciami» disse Stefano.
«Ma certo, quando ti consegnerò al mio capo» rispose l'aggressore. «Non vuoi sapere chi sono?»
«Non me ne frega un cazzo. L'importante è che chi muore sappia chi lo ha ucciso. E tu il mio nome già lo sai.»
«Con chi pensi di avere a che fare. Conosco il tuo potere, e mi spiace per te, ma l'ombra è alle mie spalle. Difficile da toccare.»
«Non sai nulla.» La frase usci debolmente dalla bocca di Stefano. «Mai giocato alle ombre cinesi? É incredibile quante cose si possano fare semplicemente con un'ombra. Vedi?» Mosse il braccio destro, proiettando un'ombra grazie alla lampada posta di fianco a lui.
«Che stai dicendo?» L'aggressore guardò per terra, cercando di capire cosa Cardini avesse in mente. «Cosa vuoi fare? L'ombra cinese del tuo braccio? Non mi sembra ci voglia sta grande abilità. Ah ah ah.» Aumentò la stretta al collo.
«Mpf...mi sa...mpf...che non hai vis..to...bene.»
L'uomo girò lo sguardo. L'ombra era cambiata, ora la silhouette sembrava...
Cardini mosse il braccio. L'aggressore provò un dolore lancinante, come se qualcuno lo avesse colpito in pieno stomaco con un coltello. Lasciò la presa al collo, portando istintivamente le mani al corpo, controllando che non stesse sanguinando. Nulla, ma il dolore era atroce e inizio ad avere la vista appannata.
«Non sono uno che uccide,» disse Cardini, «ma smettete di rompermi i coglioni, o potrei cambiare idea. Ci vediamo.»
Stefano vide uno dei camerieri al telefono. Probabilmente stava chiamando la polizia.
«Che palle, ma possibile che uno non possa cenare in santa pace.» Si girò verso l'uomo a terra. «Se riesci a cavartela, fai mettere anche questo nel mio dossier.»
Si portò le mani aperte ai lati della faccia. «Come con i bambini, che fanno i giochi più belli e semplici di tutti. Cu-cù.» Si copri la faccia con le mani.
E sparì.


Due uomini, in completo grigio, stavano guardando dentro la macchina di Cardini mentre la gente fuggiva dal ristorante.
«Non vedo nulla di interessante sui sedili. Apriamola, prima che arrivi la polizia.»
«Nessun problema, spostati Ale. » Il più alto dei due si avvicinò al cofano dell' Audi e vi appoggiò il palmo della mano destra.
« Ciao piccola, che ne dici, mi fai entrare.» Le sicure scattarono, e il lampeggiare delle freccie indicò che l'allarme era stato tolto. «Grazie, sei un tesoro. »
«C'è bisogno di far certe scene ogni volta? Eh, Giova?»
«Eddai, ci vuole delicatezza lo sai. Se no non funziona.» Si spostò verso il portello del guidatore e lo aprì. «Prego, è il suo turno señor Alejandro Vargas Lopez » disse spostandosi di lato con un inchino.
«Coño...lo sai che non dobbiamo far sapere i nostri nomi »
«Di cosa ti preoccupi, siamo solo noi due. Ora muoviti, cerca indizi su Cardini.»
«Ehi voi due, la macchina è a noleggio, quindi occhio a non danneggiarla.» I due si girarono di scatto, pistole in pugno.
Si trovarono di fronte un ragazzo, di circa vent'anni, i capelli spettinati di uno sgargiante color arancio, portava dei jeans calati sui fianchi, tanto da far vedere buona parte dei boxer sottostanti, e una camicia a righe con le maniche arrotolate sopra i gomiti. Li stava filmando con un i-phone.
«Ragazzo non sono affari tuoi,»disse Alejandro,«ora fai il bravo, e dammi quel telefonino.» Si mosse verso il nuovo venuto, tenendolo sotto tiro e facendo cenno con la mano sinistra di dargli il telefono.
«Aspetta Ale,» intervenno Giò, «prima voglio sapere chi è, e come fa a sapere che la macchina è a noleggio.»
Il ragazzo fermò la registrazione e si mise in tasca l'i-phone.
«Allora, punto primo, non mi piace avere delle pistole puntate addosso. Punto secondo, anche un cieco vedrebbe il simbolo dell'autonoleggio sul finestrino posteriore. E terzo, non vedo perché dovrei dire a dei 'Men in Black' di serie b chi cazzo sono.»
«Ehi coglioncello, con chi credi di avere a che fare?» rispose Alejandro. «Forza Giova, facciamolo fuori.»
«Chi vorreste uccidere?» Stefano comparve dal nulla vicino al retro della macchina. «Ma tu non sei quel poliziotto noioso del parco? » disse indicando Gio.
I due uomini in grigio si girarono verso la nuova minaccia, e appena riconobbero Stefano gli puntarono le pistole contro.
«Signor Cardini, a quanto pare il nostro segugio non è riuscito a catturarla. » Mentre parlava, Alejandro si mise a fianco del suo collega. «Cercherò di essere chiaro, abbiamo l'ordine di prendervi vivo, ma questo non ci vieta di farle qualche buco nel corpo. Quindi niente scherzi, bocca chiusa e ci segua senza creare problemi.»
«Cavoli Ste, se sapevo di trovarti in mezzo a tali casini non sarei mai passato a salutarti.»
Come presi alla sprovvista, i due si girarono verso il ragazzo dai capelli arancioni.
«E questo chi cazzo è? Da dove esce?» gridò Alejandro. «Tienilo sotto tiro Giovanni, se si muove spara, le domande a dopo.» Quindi si rigirò verso Stefano, senza staccargli la pistola di dosso.
«Bene Ale, adesso che si fa?»
«Che domande, io lo controllo e tu ti avvicini e gli metti i lacci alle mani. Come sempre.»
«E chi controlla il ragazzo?»
«Quale ragazzo?»
«Mi prendi per il culo? Guarda che non mi sto divertendo!»
«Senti non abbiamo tempo. Le senti le sirene, fra meno di un minuto la polizia arriva qui, e non mi va di farmi beccare. Prendi i lacci e blocca Cardini.»
Giovanni si girò, tenendo sempre l'arma rivolta contro il ragazzo, per guardare il suo collega.
«Senti Ale, non credo che... »
« Non credi cosa? »
« Non..non lo so. Passami i lacci, i miei sono in macchina.»
Alejandro si voltò verso il collega, lo sguardo di chi non crede a quello che sente.
« Ma è possibile...Ehi! E quello chi cazzo è? » disse indicando con la mano libera.
« Quello chi? » Giovanni si voltò, e vide il ragazzo. «Fermo lì! Chi sei? » Puntò la pistola verso il giovane.
Due macchine della polizia arrivarono al ristorante, mentre due poliziotti entrarono nel locale, altri due si diressero verso il retro, in direzione di Stefano e degli altri tre.
«Merda. Filiamo Ale, se ci trovano è un casino.» Si voltò verso Cardini. « Ci si vede, mister. Non lasci la città.»
Gli uomini in grigio si misero a correre, per poi scomparire in una via laterale. Pochi secondi e sopraggiunsero i poliziotti.
«Lì, voi due, avete...Ispettore Fermi, come mai qui?» chiese uno dei due rivolto al ragazzo
«Buonasera agente. Ero in zona, avevo un appuntamento con questo mio amico,» disse indicando Stefano, «ma prima del mio arrivo quel tizio lo aveva aggredito nel locale. Ora stavo raccogliendo una sua deposizione sull'accaduto.»
«Bene ispettore, allora noi torniamo alla centrale, se tutto è a posto.»
«Ma certo agente. Rientrate pure. Buona serata.» e li congedò con un saluto distratto.
Quando i due poliziotti si furono allontanati, Stefano si avvicinò al ragazzo.
«Quindi Marco ora sei ispettore. E usi il cognome di tua madre. Come mai?»
«Perché sotto sotto, tu mi stai sul cazzo papà.»

5 commenti:

  1. Interessante. Spero di leggere presto il seguito. hai già un'idea di quante puntate saranno?
    Il Moro

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    1. Contento che sia piaciuto :)
      Non ho idea di quante puntate saranno, perché il fatto che Marco sia entrato in polizia mi ha spiazzato, dovrò cambiare un po' la trama :)

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    2. Stupirsi delle storie che tu stesso scrivi non ha prezzo... :-)

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  2. Eheh complimenti, molto interessante :) Io aspetto il seguito! Sono molto curioso di scoprire di più di questi (due?) super :)

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  3. Ue Socio, li inseriamo nel database dei super che stai creando, eh? Altrimenti qui mi perdo. Stefano e Marco Cardini, dai! E ci inserirei pure i miei super, altrimenti mi perdo.
    Ritmo veloce e snello, frase chiave: "Muoviti, abbiamo un appuntamento".
    Uno dei superpoteri più interessanti tra quelli fino ad ora inventati. C'è voluta un bel po' di fantasia per avere quest'idea ne?
    Come ti dicevo, il personaggio chiave è Marco. Non ha sulle spalle il peso d'essere il protagonista come Stefano.
    I poliziotti appaiono un po' troppo rapidamente a livello di ritmo.
    Ue vai avanti su!
    Un crossover con Rainman o col Batman di San Diego?

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